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Luogo: Arena di Verona
Anno: 2014
Melodramma in tre atti di Antonio Somma
Musica: Giuseppe Verdi
Direttore: Andrea Battistoni
Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi
Più di due parole vanno spese per le luci esistenziali, che riflettono una ambientazione austera e malinconica, del lighting design di Vincenzo Raponi.
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DICONO
Il grande palcoscenico dell’Arena di Verona è dominato da una struttura d’impronta neoclassica suddivisa in tre piattaforme rotanti sulla maggiore delle quali spicca un imponente colonnato semicircolare, sormontato da una balconata, punto focale delle scene di massa. Ai lati dello stesso, due ambienti più raccolti, funzionali ai momenti salienti della narrazione. Lo spettacolo ideato da Pizzi, nella realtà di quanto visto, si risolve tutto nello sfoggio di un impianto che è sì maestoso nelle dimensioni, ma anche piuttosto scarno ed asettico se valutato nei suoi contenuti. L’assenza totale di atmosfera nell’antro di Ulrica, privo di qualsivoglia elemento suggestivo, così come la piatta indifferenza che caratterizza l’orrido campo, dove ci si deve accontentare di un paio di alti cipressoni in plastica, sono scelte di basso profilo francamente irritanti. Per di più, il disegno luci flebile e monocromatico firmato da Vincenzo Raponi arranca nel fondamentale compito di valorizzare l’insieme. Non basta poi lo sventolare di bandiere inglesi a conclusione del primo atto, o l’esibizione di fuochi d’artificio durante la scena del ballo, a distogliere l’attenzione dalla mancanza di un concept registico veramente personale, laddove gli artisti sul palco si arrangiano da soli, ciascuno con il proprio mestiere, nel cercare di portare avanti l’azione con un minimo di coerenza.
Si va dal Seicento verdiano al tardo Settecento di Pier Luigi Pizzi, l’uomo dai mille volti creativi. E’ lui che ha curato regia, scene e costumi di questa nuovissima produzione… Se il ballo è in maschera, il gran finale dell’opera – durante la quale ci sembrerà, per pathos, forme e colori, di essere stati catapultati in un film di Hitchcock. Più di due parole vanno spese per le luci esistenziali, che riflettono una ambientazione austera e malinconica, del lighting design di Vincenzo Raponi.